Philippe Daverio 2004

 

 

Me lo chiedo ogni tanto: perché è così sornione, così simpatico nel senso etimologico del termine, quello della partecipazione, lo sguardo di Silvio Pasotti?
Lo sguardo in un artista visivo non è solo quello che ti rivolge mentre ti parla, è quello che egli rivolge all'opera che realizza, perché sa che sarà tramite lei che continuerà a parlarti.
Pasotti è carico di valenze etimologiche: è un bergamasco ateo e cattolico. 
Tutti i bergamaschi sono cattolici e quindi universali. Traggono dalla controriforma una
naturale propensione alla gestualità della declamazione, con understatement. Ricevono dal Berg, la collina, una visione dall'alto. Ereditano dalle antiche popolazioni camune una vitalità che molto è simile all'espressionismo. Ma mantengono dall'antico evangelismo una grande voglia, irrefrenabile, di testimoniare.
E Pasotti testimonia la propria vita, con escursioni linguistiche che amano la pittura, la esaltano o la stropicciano, la disegnano e ne plasmano la materia, secondo gli umori momentanei dell'esistenza stessa. Cita e inventa come fecero i suoi antenati seicenteschi.
Percepisce annusando l'aria i modi visivi. Ha giocato, come i più attenti degli italiani nei primissimi anni sessanta, con una sorta di linguaggio che per errore si chiama oggi pop, perché allora la pop in Italia non era ancora arrivata, poiché in America non era ancora stata inventata, ma stava sorgendo come modo di guardare il mondo attraverso il mondo stesso, e nel mondo occidentale intero. Gli è servito questo allenamento a risolvere il
gesto pittorico oltre le tentazioni picassiane che permangono come citazioni ironiche e come insegnamento del segno.
Ma lo strumentario sarebbe inutile se non servisse a raccontare, a dare un senso alle cose dipinte, a trasmettere un eros visto come condimento quasi gastronomico della vita. E mentre l'arte formale d'oggi continua un'avventura dove l'oggi non ha diritto ad apparire, lui, il Pasotti, passa dall'automobile Ferrari ai ritratti degli amici, dalle Alpi alle piramidi, dove appare nel viaggio esistenziale e geografico al contempo, come costante, il corpo
nudo e contingente di tutte le lei.

 

 

 

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